LE EPIDEMIE NELLA TOSCANA DEL SEICENTO
Scritto da Fabio Toccafondi
La irrefrenabile comparsa del “corona virus” richiama i contagi del passato, la loro esplosione, la incomprensibile scomparsa, l’appello alla scienza ed all’intervento divino. Un documento di storia familiare dell’anno del Signore 1632 testimonia l’arrivo della peste nella val di Sieve e Firenze nel 1630, “ e l’intervento del Magistrato di Sanità” “… e mandarono guardie … ne confini di Bologna con ordinare guardie in tutto lo Stato di non lasciare passare ne persone ne mercanzie … e chi voleva camminare benchè di luogo sicuro ci voleva la fede in forma rivista da tutte le guardie et così stette sicuro lo stato fiorentino sino ad Agosto dove si scoperse … a Trespiano condotto da certi vetturali che erano andati a Bologna di notte per strade incognite”.
“Nel mese di ottobre 1630 entrò detto male in Firenze e dove si scopriva un malato si serrava la casa e si portavano … al lazzaretto et in prima lo spedale di Bonifazio ma perché lo spedale non suppliva a tanti malati, si fece lazzaretto la fortezza di San Miniato … e ne moriva sino a 130 al giorno … in Firenze certe strade erano serrate affatto con grande diligenza che non si mescolassi i sani con malati ne tampoco con gente che servivano sendo persone contrassegnate i Preti che confessavano portavano bastoni in mano in forma di croce e Medici portavano la cappa incerata et i becchini la veste lunga di tela rossa e cosi in luoghi deputati stavano separati.”
“Del mese di Gennaio alli 20 il giorno di San Bastiano in Firenze si cominciò la quarantena e fuori che i deputati et certe botteghe deputate necessarie gli altri stavano tutti serrati in casa provvisti dalla Sanità tutti li poveri delle cose necessarie portateli a casa per via di carrette et dispensieri et si ordinò che si dicesse messa per le strade in luoghi che dalla finestra ognuno udiva messa et così con l’aiuto di Dio cessò assai bene il detto male solo di quando in quando scopriva qualche residuo sino al mese di maggio 1631 nel qual tempo la città era libera ma il contado si infettò in molti luoghi nel Mugello, un poco val d’Arno di sopra et di sotto, di molto male il Casentino … gran danno Pisa, Livorno, Prato, Volterra et sua contadi.
Hanno patito assai Siena, la maremma sua et la Romagna … et la nostra riviera e cioè San Godenzio Dicomano et il Ponte a Sieve … si dice volgarmente che sia morto nella città circa quindicimila persone e nel contado in più luoghi altrettanti e nelle città tutte dello stato fiorentino si crede che fossino quarantamila persone con grande spavento dicono dove è stato detto male perché erano portati fuori casa per forza con grande pianto di parenti et malati … Le città appestate in Italia: Milano, Parma, Lucca, Modena, tutta la Lombardia (!!), Venezia, Verona, Bologna… un flagello che in futuro Dio benedetto ne scampi et liberi … per sua misericordia.
Si vive con timore stando li passi serrati per inverso Roma non si può avere commercio dove la città et contado di Firenze riceve gran danno per non potere smaltirsi e provvedere mercanzie …”
L’epidemia degli anni 1630 – 1631 sopra accennata di manzoniana memoria ha tanti precedenti riportati nella “relazione del contagio stato in Firenze l’anno 1630 – 1633 con l’aggiunta del catalogo di tutte le pestilenze più celebri che sono state nel mondo delle quali si trovi fatta memoria”, Firenze nella stamperia di S.A.R. per Sergio Giuntini e Santi Franchi, 1714. L’autore è Francesco Rondinelli, di nobile famiglia fiorentina che fu “ per lo sesto di S. Ambrogio del numero di quei Gentiluomini che dispensavano il sussidio nel tempo della quarantena … ed ebbe agio di vedere tutte le scritture e tutti i documenti che a si fatta dolorosa materia s’appartenevano … “.
Ecco quindi che il Rondinelli fa notare quelle cose che in “ altri spaventevoli tempi di peste sono state per buone e fruttuose riconosciute”.
“La principale è forse quella a cui si debba unicamente aver mira è il procurare con particolare avvedutezza d’impedire ogni sorta di commercio e l’uso e la pratica delle persone e robe che sono dalla pestilenza infettate o d’infezione sospette “ acciocchè il male si tenga lontano e se per mala ventura ha già cominciato i suoi funesti effetti non si dilati e s’accresca”.
“ Ma per ottenere ciò fa di mestieri che quelli che hanno pubblica autorità” adoperino tutte le forze delle leggi colle quali vengano puniti i trasgressori e resti proibito il commercio”.
Il “distanziamento sociale” ed il divieto di ogni attività commerciale sono i principali strumenti per recidere il contagio. “Testimonianza apertissima (prosegue il Rondinelli) si cava di tutto ciò dalla quarantena che con tanta utilità fu fatta in Firenze … e da ciò che avvenne in Roma l’anno 1656 come narra il cardinale Gastaldo nel suo trattato: “ essendo venuta la peste … tolta la comunicazione fra le persone e stando lontani dall’uso delle robe infette e dall’occasione di toccarle ed avute in cura del purgamento della casa, delle vesti e de’ mobili da principio scemò il male dipoi fu allontanato e quindi interamente tolto via … idem nel Regno di Napoli l’anno 1690”.
E poi: “ di grandissima utilità sono i lazzaretti non solo per coloro che sono infetti e per quelli che essendo guariti si ritrovano convalescenti come pure per quelli che sospetti sono d’infezione” “ A questi lazzaretti sia portato senza veruna distinzione e senza alcun privilegio qualunque genere di persone senza permettere giammai a niuno il potersi curare nella propria casa”. Gli effetti delle misure suddette furono che gli ammalati ed i sospetti di contagio in maggior numero … rimanevano liberi e sani e di continuo andava scemando il numero di coloro che si ammalavano, l’altro che i cittadini vedendo che non si permetteva a nessuno di qualsivoglia grado e condizione egli fosse, il curarsi da casa, presi dal timore di non esser condotti al Lazzaretto procuravano diligentemente di star lungi da ogni pratica con chi che sia. I Lazzaretti sieno forniti con vigilanza e con dovizia di tutto il bisognevole e vi sia dovuta la separazione di stanze non solo fra i serventi e gl’infermi ma tra gl’infermi stessi acciocchè vi possano agiatamente dimorare e star ciascheduno da per se …”
L’organizzazione del Lazzaretto era completa anche dal punto di vista alimentare, :“vi era un cuoco e sottocuoco il quale con diligenza e carità cercava di fare ogni mattina più di una sorta di vivanda perché chi non gustava d’una pigliasse dell’altra … ne mai si dava brodo semplice se però non era di pollo che allora si faceva con pane stufato. La sera si faceva la carne pure stufata o arrosto e cosi si usava in tutte le convalescenze e luoghi di quarantena”. Ad ogni buon conto per ogni esigenza erano disponibili un cerusico, un confessore, becchini.
Rimedi furono impiegati per salvarsi dalla peste: alcuni portati dalla Fede religiosa altri dalla medicina nelle sue versioni, astrologica o strettamente ortodossa (per l’epoca) ma il fenomeno “contagio” era altresì disciplinato da norme di legge (cfr. Legislazione Toscana raccolta e illustrata dal dottore Lorenzo Cantini, Firenze 1805, nella stamperia albizziana) che disciplinavano praticamente la vita di tutte le persone:
Vitto per i poveri a carico del governo;
Tali robe siano consegnate dalle finestre;
Non parlare con le persone sospette di contagio;
La quarantena e purga che si dovrà fare in ciascuna casa di persona sospetta di essere contagiata sia di giorni 22 almeno dal dì che vi sarà guarito o morto l’ultimo ammalato sospetto. Per la riapertura della suddetta casa si dovrà provvedere a profumarla con la fiamma e poi si serrino le finestre e si faccia fumo con zolfo … si facci imbiancare la casa o almeno lavare le muraglia con ranno … si dia aria per molti giorni ai materassi … si brucino i panni della persona infetta e la stanza dove sarà morto o stato l’infermo per tre mattine s’adacqui con aceto e si getti nella stanza della calcina e perché accade che li malati sono contadini lontani dalle terre e Castelli e dal commodo di potere avere medici … si dà nota di alcuni medicamenti facili per le persone suddette.
I sani potranno pigliare la mattina triaca, ongersi con olio contro veleno e altri preservativi simili e non havendone piglino noci e fichi secchi e ruta e ne mangino la mattina … gli infermi ogni mattina un bicchiere di cinque once di sugo di cicerbita … e si faranno coprire per sudare. E poi sulla bolla o carboncella si metta sopra erba di scabiosa pesta da due sassi … e un poco di sugna di pollo”.
Infine la manifestazione religiosa in Firenze in data 19 maggio 1634 per la liberazione dal contagio. Tra i rimedi contro la peste la medicina astrologica ha un ruolo di grande rilievo. Si richiama alcune prescrizioni da “ Il nuovo tesoro degli arcani farmacologici galenici, chimici o sparginici da Frate Felice Passera, da Bergamo opera molto utile non solo a farmacologici ma ancor ad ogni medico e professore della medicina. Venezia 1688, appresso Giovanni Parè, all’insegna della Fortuna.
“Peste: i bufoni, le rane, le lumache estraggono il veleno” (pag. 33 op.cit.).
E poi vi sono tantissime medicine che alla fine fanno bene a tutto quali: “virtù del pretiosissimo et meravigliosissimo olio di scorpioni del dottissimo Pietro Andrea Mattioli senese medico cesareo”; “olio volpino” ottimo contro tutte passioni frigide dei nervi“; “ olio di lombrichi”.
Per concludere il tema nell’epoca ricordata si richiama l’opera “ Institutionum medicinae practicae” di J Baptista Burserius, Mediolani 1785, vol II, pag. 349 “ admonitio de peste” che definisce il morbo in questione” devastatore di città e province, distruttore del genere umano. Questo morbo chiamato peste è contagiosissimo”. Tra gli autori che di persona ebbero l’esperienza di osservare il morbo in questione furono il Mercuriale nel sec. XVI e Ludovico Antonio Muratori nel sec. XVIII con le seguenti opere che esaminano il morbo non soltanto dal punto di vista medico: “Del Governo della peste e della maniera di guardarsene. Trattato diviso in politico, medico, ed ecclesiastico. Modena 1714.
Dinanzi a fenomeni spaventosi come quelli in precedenza richiamati che ritrovano terribile identità nel nostro presente non rimane, credenti o non credenti, che concludere questa nota con l’arrivo a Borgo S. Lorenzo del S.S. Crocifisso (intorno la sec. XVI): “era vi in quei giorni di lutto in Borgo S. Lorenzo una compagnia di pellegrini scesi dall’Alemagna … una gran parte di questi infelici perirono al primo assalto della peste, l’altra si dette alla fuga abbandonando tutto e persino l’immagine di Gesù Crocifisso dietro la quale aveva peregrinato che rimase alla popolazione del Borgo”. In breve da tutte le parti del Mugello il Crocifisso (detto allora “dei Bianchi”) acquistò venerazione. Cessò comunque nel Borgo e nel suo circondario la terribile pestilenza e avvennero anche miracoli (“Storia antica e moderna del Mugello” di P.Lino Chini. Fir. 1876 vol. III pag.29 e s.s. tip. Carnesecchi).
Scritto da Fabio Toccafondi