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Storia

La rivoluzione del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena

LETTERA A FILIPPO PANANTI.

IL TERRORISMO CONTRORIVOLUZIONARIO IN TOSCANA ALLA FINE DEL XVIII SECOLO.

CISALPINI, FALSI IDEOLOGICI E IDEOLOGIA DELLA FALSITÀ

PARTE PRIMA: LA RIVOLUZIONE DEL GRANDUCA

Ricevo da Fabio Toccafondi per la pubblicazione.

Scritto da Fabio Toccafondi

Il testo che segue è stato appena levigato. L’autore è anonimo ma non il destinatario della lettera, Filippo Pananti, esule dalla Toscana. Le vicende del complotto di “Orazio Dattellis napolitano” appaiono candidate alla prossima edizione ampliata e arricchita della Storia Universale dell’infamia di J.L. Borges.

Mi avete invitato, Signor Filippo, a darvi ragguaglio della nostra terra affinchè la distanza non cancelli le vicende vive che in questo tempo si agitano e percorrono l’intera Italia.

Per compiacervi, dunque, ma anche per mio personale contrappunto scrivo e spero che le lettere siano un ponte tra voi e la nostra Toscana. Il vostro esilio, come quello tanti altri ingegni, ha vieppiù lasciato mano libera a coloro che dall’una e dall’altra sponda si affannano a tentare di spegnere il partito opposto, nulla tenendo in conto se non il miope interessuccio personale. Il lume e le opere del grande Leopoldo sono stati irrisi, disprezzati, feriti e spenti: questo vi è noto. Conosco le vostre idee che appaiono bendiverse dalle mie: è paradosso ma intuisco un comune sentire, un consenso reciproco che permette di scrivervi compiutamente e in maniera libera da ogni possibile equivoco.

La Toscana vive l’inquietudine della stagione grigia che sta tra il “non più” e il “non ancora”. Al di là degli eventi contemporanei contingenti, episodici e non decifrabili se non in un grande mosaico d’insieme, ritengo di proporvi una ricostruzione, parziale e personale, di storie e di fatti che hanno per pietra di paragone la grande riforma leopoldina dell’ordinamento criminale proclamata nel 1786 e la “costituzione fondamentale” che il Sovrano avrebbe desiderato dare alla Toscana e aveva presentato ai suoi ministri nel 1782.

La personale visione storica unita alla necessità di un metodo che accompagni la spiegazione di fatti e di atti, mi inducono a leggere le nostre vicende nel confronto delle riforme del grande Leopoldo non già per attribuire al legislatore assoluta e immutabile verità, quanto per stabilire una misura obbiettivamente considerabile da ogni testa pensante.

Utopia e sogni, signor mio?

Per giungere ai giorni nostri non si può che partirsi dalla rivoluzione francese che spiega su tutti noi effetti felici o funesti secondo il sentire di ognuno. Gli accadimenti di Francia si abbatterono come fulmini sull’albero vetusto sotto il quale sonnecchiavano principi e popoli italiani. Il terrore e l’ira, il fanatismo clericale, la miope considerazione della storia, accellerarono i mutamenti e la catastrofe.

In Toscana obbietivo da colpire da parte di coloro che nell’inasprimento delle pene e nell’abolizione delle garanzie civili vedevano pronto rimedio e medicina duratura, furono le riforme leopoldine, dette da costoro “povere e semplici utopie”, e sopra ogni altra il codice criminale del 1786. Caparbia ottusità, attaccamento ignorante a vecchi schemi politici, odio per la luce nata con la legislazione leopoldina. Statistiche comparative dei trienni 1783-85-87-89, 1791-93 concernenti truffe, furti, omicidi e ferimenti furono molto opportunamente illustrate ad usam al giovane Granduca onde il medesimo: “sentendo che le molte cagioni adottate in quanto all’aumento dei delitti dell’ultimo triennio la principale sia quella di aversi un codice criminale che per la soverchia sua dolcezza attira i facinorosi degli stati confinanti, la segreteria di stato è incaricata di ordinare alla Consulta”, (riesumata formalmente per assicurare certezza ed uniformità alle sentenze dei giudici dei tribunali inferiori ma sostanzialmente per reggere con mano ferma tutto l’ordinamento giudiziario) “di proporre le correzioni che giudicherà doversi fare a detta legge” (13 marzo 1794).

Ho anteposto gli effetti alle cause perché spinto dall’animo ferito dal maligno ritorno dei demoni dell’inciviltà. Le utopie sono sogni ? E senza sogni saremmo le stesse persone ?

La partenza del principe per Vienna riaccese i fuochi, mai sopiti, dei nemici delle riforme e del progresso, negatori pur anche del legittimo potere del Sovrano. Vittime predestinate della plebaglia aizzata da preti e da reazionari, il vescovo Scipione de’ Ricci e Francesco M. Gianni, ministro illuminato dell’economia dello stato. Di entrambi lasciamo ad altri la narrazione delle vicende, noi consideriamo i fatti di Pistoia, di Livorno e di Firenze sotto la specie di attentati al diritto dello stato e agli ordinamenti posti dal Principe. Valga a titolo d’esempio la rabbia a Livorno e Firenze contro la nazione ebrea che sotto il governo lorenese ha goduto di guarentigie e di diritti rispettosi della sua religione. A Livorno si tentò di assalire le case degli ebrei più ricchi e la stessa sinagoga fino a quando il rappresentante degli israeliti promise consistenti interventi di denaro per iniziative sociali.

A Firenze si disegnò il saccheggio del ghetto a scanso del quale i facinorosi ottennero dagli ebrei una consistente somma a titolo di tassa di redenzione, ma neppure ciò avrebbe evitato sicuri e sanguinosi scontri se l’Arcivescovo Martini accompagnato dal colonnello Cerretani non si fosse interposto sulla porta del ghetto affermando con energia che “dentro non sarebbero entrati senza passar sopra al corpo del loro pastore”.

La notizia dei fatti scellerati arrivò veloce a Leopoldo.

Scritto da Fabio Toccafondi

PARTE PRIMA: La rivoluzione del Granduca.

PARTE SECONDA: La risposta del Principe

PARTE TERZA: Processo di terrorismo politico.

PARTE QUARTA: Varia et curiosa.